Come può ciò che è stato abbandonato costituire un luogo di memoria? L’abbandono implica
assenza, separazione, rinuncia, ed anche una condizione di desolazione, negligenza, degrado….
Il titolo, a prima vista paradossale, che Tiziano Bertacco ha voluto attribuire alla sua mostra, invita
ad attenta riflessione , sebbene l’impatto visivo immediato sia già di per sé di straordinaria efficacia
espressiva.
Si resta senza fiato davanti a tanta bellezza e profondità di sguardo.
Io però non mi soffermerò sugli aspetti tecnici e formali dei suoi quadri ( la raffinatezza dei tratti,
la precisione iperrealistica dei dettagli, l’ accostamento delicato dei colori nell’alternanza sapiente
del chiaroscuro, il ricorso alla citazione dotta come omaggio ai grandi maestri o sottile riferimento
ironico…), sui quali altri assai meglio di me sapranno intervenire.
Mi limito a constatare, nelle circa 50 tele che compongono l’esposizione, l’ assenza non casuale
della figura umana ( che invece rivestiva, in precedenti opere, un ruolo decisivo se non univoco ),
lo stato di avanzata disgregazione degli oggetti, degli arredi, delle “case” (non semplici edifici ma
luogo che ci forma, origine, provenienza), l’insistente ricorrenza di vetri infranti e macerie sparse, la
presenza – spesso centrale – dei libri tra gli oggetti abbandonati, insieme a qualche rada
sopravvivenza: una colomba che volteggia attorno ad una finestra semi spalancata, i rampicanti
ancora verdi che la circondano, i frutti delle nature morte talvolta ancora “freschi” ed invitanti,
quasi … edibili. Come dire: un tenue filo di speranza, se non nell’umanità, almeno nella forza di
rigenerazione della natura.
Gli oggetti e le ambientazioni come emblemi in sostanza di ciò che resta della memoria, della
inevitabile perdita del passato, della mancanza di senso dell’esistenza? Una vera e propria
translitterazione pittorica della poetica montaliana de “La casa dei doganieri” ( “… l’orizzonte
in fuga … non so chi va e chi resta”…) ?
Si e no, direi. Montale cantava l’impossibilità di trovare salvezza nel ricordo.
Nelle opere di Tiziano Bertacco invece i “resti” del passato assumono, mi pare, sfumature
diverse.
Protagonisti di queste opere, dice l’ autore , sono ” cose,oggetti , e ambienti che, seppur nel
degrado, hanno la loro storia e la loro poesia : io la poesia la trovo anche in un semplice
…calcinaccio……..entri in una casa abbandonata e scopri un mondo magico fatto di luci ed ombre ,
e sopratutto di ricordi”.
Lo stato di abbandono dunque non solo o non tanto come testimonianza di decadenza, di mancanza
o perdita di senso: esso si traduce per il pittore in un’attenzione verso i luoghi, dimenticati o
sconosciuti, che li sottrae al limbo dell’oblio. Sì un forte richiamo alla caducità delle cose, ma anche alla persistenza e al valore della memoria, che unisce in un unico campo il tempo e lo spazio,
ridando spessore alla vita, al di là di tutto. Perché le memorie trattenute nei resti degli oggetti
abbandonati rappresentano le immagini e le assenze più significative della nostra storia . In questo
senso sono significativi sia i vuoti che i pieni, sia le presenze che le mancanze.
Carica di sentimenti e di magia, la memoria si nutre di ricordi sfumati, in ciò assumendo quasi un
carattere di sacralità.
L’ abbandono e la memoria, in questo senso, si richiamano l’un l’altro : più che uno stato,
l’abbandono viene proposto da Tiziano come un abbandonarsi, un lasciarsi prendere, un darsi.
Quasi quello – verrebbe da dire – che per il filosofo tedesco Heidegger , nella sua conferenza
“L’ Abbandono” del 1955 , era l’apertura al mistero, al pensiero meditante, inteso come unica
possibilità di una nuova crescita per l’Umanità , nell’ attuale Età della Tecnica che vede l’assoluto
devastante predominio del pensiero calcolante .
La potenza della pittura di Tiziano sta in questa sua capacità di trasmettere non solo emozioni, ma
pensiero. Di cogliere ed interpretare in profondità le ansie del presente, offrendo al contempo una
prospettiva di disincantata speranza nel futuro.
Articolo di Manuela Micelli